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Parco nazionale del Gran Paradiso fu istituito nel 1922. È il piú antico Parco Nazionale italiano. Si estende a cavallo delle regioni Valle d'Aosta e Piemonte.
Il Parco Nazionale del Gran Paradiso, primo parco nazionale istituito in Italia, abbraccia un vasto territorio di alte montagne, fra gli 800 metri dei fondovalle e i 4.061 metri della vetta del Gran Paradiso. Boschi di larici e abeti, vaste praterie alpine, rocce e ghiacciai costituiscono lo scenario ideale per la vita di una fauna ricca e varia e per una visita alla scoperta del meraviglioso mondo dell'alta montagna.
La storia del Gran Paradiso è strettamente intrecciata con la salvaguardia del suo animale simbolo: lo stambecco (capra ibex ibex).
Questo ungulato, un tempo largamente diffuso a quote elevate, oltre il limite del bosco, su tutto l'arco alpino è stato oggetto di caccia indiscriminata per secoli. I motivi per cui lo stambecco era una preda così ambita dai cacciatori erano i più disparati: la succulenza delle sue carni, alcune parti del suo corpo erano considerate medicinali, l'imponenza delle sue corna ricercate come trofeo e persino il potere afrodisiaco attribuito ad un suo ossicino (la croce del cuore) spesso utilizato come talismano. All'inizio del XIX secolo si riteneva che questo animale fosse ormai estinto in tutta Europa finché l'ispettore forestale valdostano Delapierre (detto anche Zumstein, secondo la parlata di Gressoney) scoprì che negli impervi e scoscesi valloni che discendono dal massiccio del Gran Paradiso ne sopravviveva una colonia di circa cento esemplari. Il 21 settembre 1821 il re di Sardegna Carlo Felice emanava le Regie Patenti con le quali ordinava:"Rimane fin d'ora proibita in qualsivoglia parte de' regii domini la caccia degli stambecchi". Questo decreto, che salvò lo stambecco dall'estinzione, non fu ispirato da valori di protezionismo ambientale, non contemplati nella mentalità dell'epoca, ma bensì da mere speculazioni venatorie. La rarità di questi esemplari ne rendeva la caccia un lusso che il sovrano concedeva solo a sé stesso.
Nel 1850 il giovane re Vittorio Emanuele II, incuriosito dai racconti del fratello Fernando, che durante una visita alla miniera di Cogne era stato a caccia, volle percorrere di persona le aspre valli valdostane. Partì dalla valle di Champorcher, valicò, a cavallo, l'omonima finestra a quota 2828 m. e raggiunse Cogne, lungo questo tragitto uccise sei camosci ed uno stambecco. Il re rimase colpito dalla abbondanza di fauna e decise di costituire in quelle valli una riserva reale di caccia.
Furono necessari alcuni anni affinché i funzionari di Casa Savoia riuscissero a stipulare centinaia di contratti in cui i valligiani e i comuni cedevano al sovrano l'utilizzo esclusivo dei diritti venatori (relativi alla caccia al camoscio ed ai volatili, poiché la caccia allo stambecco era vietata, per i valligiani, già da un trentennio) ed in alcuni casi persino dei diritti di pesca e di pascolo (vale a dire che i montanari non potevano più portare ovini, bovini e caprini sui pascoli d'alta quota riservati d'ora in poi alla selvaggina). Nasceva così ufficialmente, nel 1856, la Riserva Reale di Caccia del Gran Paradiso il cui territorio era più ampio dell'attuale parco nazionale; infatti comprendeva anche alcuni comuni valdostani (Champorcher, Champdepraz, Fénis, Valgrisenche, Brissogne) che in seguito non furono inseriti entro i confini dell'area protetta.
I valligiani, dopo i primi malumori, cedettero volentieri i loro diritti al sovrano, comprendendo che la presenza dei sovrani in quelle valli fino ad allora quasi al di fuori del mondo avrebbe portato benessere per la popolazione locale. Re Vittorio promise che avrebbe fatto "trottare i quattrini sui sentieri del Gran Paradiso". Fu istituito un corpo di vigilanza composto di circa cinquanta addetti denominati Reali Cacciatori Guardie, furono restaurate chiese, argini e case comunali, furono costruiti casotti per i guardaparco e case di caccia più grandi utilizzando manovalanza locale. Tuttavia, l'opera più importante che cambiò il volto delle valli aostane e canavesane fu la fittissima rete di mulattiere selciate fatte costruire per collegare i paesi con le case di caccia e quest'ultime tra di loro (coprivano una distanza di oltre 300 km). Queste strade furono progettate per permettere al re ed al suo seguito di spostarsi comodamente a cavallo all'interno della riserva. La maggior parte di esse è ancor oggi percorribile. Superano dei ripidi versanti con innumerevoli, ampissimi tornanti mantenendo sempre una lieve e costante pendenza. Si snodano in buona parte oltre i duemila metri ed in taluni casi superano i tremila (Colle del Lauson 3296 m. e Colle della Porta 3002 m.). I punti più impervi sono stati superati scavando il tracciato nella roccia. La carreggiata è lastricata di pietre, sostenuta da muri a secco costruiti con notevole perizia e presenta una larghezza variabile da uno ad un metro e mezzo.
Il tratto meglio conservato si trova in Valle Orco; dal Colle del Nivolet, dopo un primo tratto a mezzacosta, la mulattiera reale scavalca i colli della Terra e della Porta, tocca la casa di caccia del Gran Piano (recuperata di recente come rifugio) per poi scendere al paese di Noasca.